Al di là’ del numero dei morti, per intensità’ e potenza militare la aggressione contro la RFJ è’ stata la più’ pesante operazione militare dalla fine della II Guerra Mondiale. Essa ha visto una alleanza di 19 paesi alleati, più’ svariati altri con funzioni di supporto politico e logistico, attaccare un unico paese allo scopo di distruggerne le strutture economiche e quindi la possibilità’ di sussistenza dei suoi abitanti, smantellare le vie di comunicazione, deteriorare i rapporti tra le nazionalità che vi abitavano, occupare militarmente una sua provincia e prepararne la secessione e la annessione ad uno degli Stati confinanti.

Come la Casaleggio e Grillo hanno ora traghettato il M5S nel campo dei partiti della grande finanza, allora D’Alema, per fare la medesima operazione, completando il percorso avviato da Occhetto, riuscì a tagliare una delle più forti radici culturali ed etiche del PCI , la lota per la pace, ed a distruggere il movimento pacifista, con la collaborazione dei francescani di Assisi e dei leaders pacifisti che addirittura ne fecero il proprio capo, invitandolo come ospite d’onore alla Marcia della Pace, Perugia-Assisi del 2001.

Nove anni dopo quello che io avevo attribuito ad una deviazione ideologica e politica, che lo collocava nella corrente migliorista di Napolitano, appresi invece che fu decisiva la sua smodata ambizione personale. Baldassarri, senatore di Futuro e Libertà e amico di Prodi, essendo stato ordinario di Economia a Bologna (1980-1988), e Cossiga, (che poi lo scrisse anche sul Corriere della sera), mi spiegarono che D’Alema si era preventivamente dichiarato favorevole non solo all’uso delle basi italiane ma anche all’impiego dell’Esercito Italiano, per la ‘ipotetica’ guerra alla Jugoslavia, se gli USA lo avessero fatto eleggere alla Presidenza del Consiglio, al posto del ‘riottoso’ Prodi.

Purtroppo nel 1999, Gorbaciov aveva già distrutto l’Unione Sovietica e la Federazione Russa era stata assoggettata agli USA attraverso Eltsin; la guerra alla Jugoslavia fu il 3° atto, per ‘terrorizzare/educare’ al liberalismo i paesi dell’EST Europa. Qualche anno dopo, con Putin saldamente al governo della Federazione Russa, quei criminali bombardamenti non sarebbero stati possibili.

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I miei ricordi più vivi della guerra alla Jugoslavia sono legati al viaggio del 1999, che vi feci mentre Clinton e D’Alema la bombardavano.

21 anni fa ero Assessore ai rapporti internazionali della Città di Ferrara, gemellata con Novi Sad, capitale della Voivodina.

In sede di partito avevo già manifestato totale dissenso con la scelta di sostenere il governo D’Alema nell’aggressione alla Jugoslavia, ufficialmente motivata da una arrogante truffa operata sul testo degli accordi raggiunti a Rambouillet (come testimoniò persino Lamberto Dini che vi aveva partecipato*). Lo stesso Henry Kissinger dichiarò che: “Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe Nato in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento”. Continuavano i bombardamenti; fu colpita anche l’Ambasciata cinese, e approfittando delle ferie pasquali (Pasqua cadeva il 4 aprile, ma i sedicenti ‘difensori della cristianità’ bombardarono anche tutto il giorno di Pasqua) decisi di portare a Novi Sad la solidarietà della mia città. Avevo chiesto al Sindaco ed al Vescovo loro messaggi di pace da portare a Novi Sad, ma l’uno con motivazioni di disciplina politica, l’altro senza alcuna motivazione, non mi consegnarono nulla.

Presi la mia Mondeo e partii, insieme al fotografo Nadalini di Bologna e al capogruppo consigliare di Rifondazione Merchiorri (che nel 2007 mi truffò 16.000 € con l’ignobile motivazione che era negli USA con la moglie, che doveva essere urgentemente operata di tumore e doveva versare subito… mi avrebbe restituito la somma al loro rientro; la mia dabbenaggine e fiducia nei ‘compagni’ la pagai anche con Fosco Giannini che lo stesso anno mi chiese un prestito, per svolgere un convegno dell’Ernesto scucendomi 3.500 €, che non riebbi più nonostante i pressanti solleciti che gli feci per due anni; per fortuna tra i compagni che ho conosciuto c’erano anche tante belle persone).

Al confine con la Slovenia, dopo ore d’attesa, i croati non ci fecero entrare, provammo un altro varco, ma niente da fare; decidemmo allora di tentare il giro per l’Ungheria. A quel confine  ci lasciarono uscire, ma ci fermarono le guardie di confine e i militari dalla parte jugoslava. Documenti, invito a telefonare a Novi Sad e alla JUL, Federazione politica presieduta dalla moglie di Milosevic e dopo tre ore con tanti sorrisi e saluti fraterni ci lasciarono passare.

Diverse persone notarono con curiosità/sospetto la nostra targa. Al Comune di Novi Sad ci accolsero calorosamente, noi portavamo in dono due colombe pasquali, due panpepati e due bottiglie di spumante.
Apprendemmo che nel recente passato, Novi Sad era considerata l’Atene dei Balcani per la bellezza e per la cultura; vi convivevano pacificamente 26 minoranze etniche: un 6 per cento di serbi, un 30 per cento di magiari e poi slovacchi, ucraini, montenegrini, macedoni e turchi. La Voivodina era la regione più ricca della Jugoslavia, insieme alla Slovenia, e godeva di una sua autonomia.
Tra la decina di persone che assistettero all’incontro alcune ci guardavano con diffidenza e nelle domande un giovane con tono duro ci chiese perché l’Italia che era amica della Jugoslavia gli stava facendo la guerra e perché bombardavamo la città di Boskov, che era amato dagli sportivi italiani. Un signore più acculturato chiese perché l’Italia faceva la guerra ad un paese amico con cui facevano affari la TIM, l’ENI, la FIAT, le partecipazioni Statali e tante altre grandi imprese italiane. La mia goffa risposta fu che era dovuta ai vincoli Nato, ma oggi dopo la guerra alla Libia e alla la Siria, e dopo le sanzioni alla Russia (tutti importanti destinatari delle nostre esportazioni), avrei potuto rispondergli che succede quando al governo c’è chi, volendo compiacere alla grande finanza glEbalizzatrice, proprietaria delle banche e dei media (che decidono le sorti dei partiti) rinuncia ad etica e valori, diventa anaffettivo e non ha più a cuore nè la pace tra i popoli, nè gli interessi della sua Patria.
Il Sindaco gli spiegò che anche noi eravamo contro quelle bombe e che eravamo andati da loro a portare la nostra solidarietà, poi a noi disse che bisognava capirli, perché la sera prima gli aerei della Nato avevano bombardato la città e distrutto anche il ‘Ponte della Pace’ che collegava una grossa parte della città al centro e all’ospedale. Dopo l’incontro ci portarono a cena. 

Mentre cenavamo si udivano canti e musiche; ci spiegarono che tutti i giorni, fino al coprifuoco serale, sul palco e di fronte ad una piazza gremita si esibivano i gruppi musicali, i cantanti e gli artisti di Novi Sad; l’indomani ci avrebbero accompagnati a vedere. Ci fecero alloggiare nel semivuoto albergo che dava sulla piazza della chiesa.

Quella notte, tra sirene e bagliori, bombardarono una fabbrica chimica e la centrale elettrica, a uno o due chilometri dall’albergo, riposammo un po’verso il mattino. In Municipio ci accolsero con caffè, succhi e pasticcini, e apprendemmo che durante la notte era stata bombardata la raffineria, poi il vice sindaco a altri amministratori ci accompagnarono a vedere i due ponti sul Danubio  che gli aerei italiani e Nato avevano abbattuto nei giorni precedenti. Sulla strada che fiancheggiava il fiume c’era tanta gente, intere famiglie che andavano dal parcheggio, all’imbarcadero, alla zona sportiva e al ponte in ferro caduto in acqua; quando incrociavano amici si scambiavano informazioni e si formavano capannelli con altre persone che si avvicinavano per avere o dare informazioni.

Nel troncone del ponte attaccato alla riva si potevano vedere e quasi toccare la parte in cui una bomba l’aveva colpito e il vice sindaco ci disse che doveva essersi trattato di una bomba o di un missile molto potente, perché non ci si spiegava come barre di ferro tanto grosse potessero essersi accartocciate a quel modo, quasi colate. La gente aveva messo fiori, nastri e affisso foglietti con frasi resistenti, contro Clinton c’era affisso una specie di avviso funebre.

Ci fecero notare che lì vicino, sotto la fortezza asburgica di Petro Varadin, che era stata per secoli l’ ultimo baluardo dell’ impero austroungarico di fronte a quello ottomano, spuntavano ancora due pilastri lisci che non sorreggevano più nulla, perché il ponte fu distrutto dai tedeschi nel 1941. ‘Ieri i tedeschi e oggi voi’, e indicavano, due chilometri più a Sud dove c’era l’altro grande ponte bombardato. Alcune campate erano rimaste con un lato ancorato ai piloni, mentre verso il centro del fiume si vedevano solo gli scheletri dei piloni; sulla campata più vicina all’altra riva si intravvedeva un’auto in fortissima pendenza (l’interprete si fece prestare un binocolo da suoi conoscenti che erano in un gruppo vicino a noi ), chiedemmo se c’erano stati molti morti e ci risposero che ce n’erano stati alcuni, che i sub avevano cercato e che si stava ancora verificando la situazione dei dispersi. Ma per tutto il viaggio notammo che sia a Novi Sad che a Belgrado non parlavano volentieri dei morti né dei danni.

Nel pomeriggio facemmo il giro di due piazze in cui si suonava e alcuni giovani ballavano. I negozi erano aperti, la gente passeggiava, alcuni giravano in bicicletta, da diversi tavoli gruppetti di ragazze e ragazzi ( boy scout, pionieri?) offrivano (vendevano?) vino, bibite e pasticcini. Ad un tavolo si erano attrezzati per vendere gadget davvero originali. Tra quelli che comprai per amici, ne ho conservati due; mi colpì la grossa spilla/bottone con l’immagine dell’aereo invisibile Usa, che celebrava il suo abbattimento, recante la scritta: ‘Scusateci non sapevamo che era invisibile’. Il giorno di Pasqua pranzammo al baretto sotto la curva dello stadio in cui aveva giocato Boskov, dal ’46 al ’60.

Incontrate istituzioni, autorità religiose e associazioni di Novi Sad, decidemmo di andare a Belgrado; in Comune fecero di tutto per dissuaderci, poi vista la nostra ostinazione ci diedero una guida a mo’ di scorta: era un accanito tifoso della Lazio, in cui giocava Siniša Mihajlović, e fratello di un consigliere comunale del partito di centro destra, che voleva più autonomia per la Voivodina; lui ci disse che eravamo matti se volevamo andare a Belgrado sotto le bombe, ma che se proprio volevamo andare ci avrebbe scortato.

Ricordo l’autostrada per Belgrado in cui per tutto il viaggio incontrammo una sola auto nera nella direzione opposta. Ad un certo punto incappammo in un posto di blocco. L’interprete disse a Nadalini di nascondere la sua attrezzatura fotografica perché l’avrebbero sequestrata e di stare zitti che avrebbe parlato lui. Circondarono l’auto, Nadalini aveva nascosto una parte sotto i sedili e una parte in grembo sotto il giubbotto che si era tolto e restando un po’ piegato in avanti, il più alto in grado si avvicinò furente per mandarci indietro, ne disse di tutti i colori all’atterrito interprete che cercò di spiegargli le ragioni solidali del viaggio, ma la cosa non lo scalfì minimamente; poi si fece mettere in contatto radio con Belgrado per verificare se davvero dovevamo andare alla sede dalla JUL (sinistra unita) presieduta da Mira, la moglie di Milosevic. In qualche decina di lunghi minuti ne ebbe conferma, capimmo che  imprecò anche contro la JUL che non avrebbe dovuto far circolare civili, poi fece spostare la barriera e venne verso l’auto per riconsegnare, in modo molto sgarbato, i documenti. Scorse sul cruscotto il mio carica telefono e lo prese, io protestai ma l’interprete risalì veloce in auto e mi disse di stare zitto e invitò Merchorri, che guidava, a ripartire. Ci spiegò che secondo i militari c’erano spie della Nato che, da terra, collocavano trasmettitori elettronici sui bersagli da colpire, e forse aveva pensato che il mio carica telefono poteva nascondere un trasmettitore; la mia impressione, e non la nascosi, era invece che mi aveva fregato il carica telefono. Sul percorso di ingresso a Belgrado vedemmo gli effetti dei bombardamenti solo sul palazzo della Ambasciata Cinese e su pochi altri, ma in giro c’era molta meno gente che a Novi Sad.

L’Ambasciata cinese bombardata

Giunti alla sede della JUL, Merchiorri, che aveva tenuto i contatti con loro, e l’interprete – accompagnatore furono accompagnati alla segreteria, mentre io e Nadalini restammo in uno dei salotti d’aspetto. Tornarono dicendo che Mira era stata costretta dagli eventi a rinviare l’incontro all’indomani, così decidemmo di andare all’Ambasciata Italiana. L’Ambasciatore era stato richiamato in Italia e il personale era stato ridotto, ci ricevettero due funzionari che ci dissero di essere stati informati dall’Italia che noi eravamo entrati in Serbia. Facemmo inviare un messaggio di protesta al Ministero degli Esteri allegando le lettere del Sindaco e del Vescovo di Novi Sad che chiedevano la fine dei bombardamenti.  L’indomani alla JUL ci ricevettero la responsabile femminile e quello della gioventù in un brevissimo colloquio a causa di una seduta plenaria che era in corso nel’annesso rifugio. Ringraziamenti, baci e abbracci, ma ci invitarono categoricamente ad andarcene subito da Belgrado ed a tornare a Novi Sad perché erano previsti pesanti bombardamenti, che in effetti avvennero.

In autostrada non trovammo blocchi, e giunti a Novi Sad, nell’ultimo colloquio trovammo le autorità comunali più segnate rispetto all’incontro del primo giorno. Ci parlarono dei nuovi bombardamenti avvenuti nelle due notti di nostra assenza e che diventava ormai certo che ogni notte ci sarebbe stato un bombardamento e i cittadini cominciavano a manifestare stress (il Sindaco era un medico). Sapevano che un Assessore, un Consigliere Comunale e un Giornalista poco potevano rispetto al Governo e tantomeno rispetto alla NATO e a Clinton, ma nel salutarci si raccomandarono che facessimo il possibile per far fermare una guerra ingiusta, con i suoi morti e le sue distruzioni.

Il Sindaco ed il Vescovo ci consegnarono, come concordato, lettere riservate per il Sindaco ed il Vescovo di Ferrara, poi ci salutammo tra tanti abbracci e tanta commozione e partimmo verso Trieste. In circa un giorno e mezzo, compresi i contrattempi al confine con la Bosnia e poi con la Croazia, risolti dai capiposto, grazie al tesserino di Nadalini, non senza occhiate tutt’altro che amichevoli, eravamo a Ferrara.

Una decina di giorni dopo dal Comune di Novi Sad ci informarono che l’acquedotto era stato colpito in più punti e non c’era più acqua potabile, erano già stati distrutti o danneggiati cinquanta impianti industriali, tra i quali la grande raffineria, nonché il palazzo del Governo, la facoltà di legge e una ventina di scuole.  

I numeri di quella “guerra lampo umanitaria” di D’Alema e Mattarella. Nelle undici settimane di bombardamenti sono stati uccisi 1.002 membri della polizia e dell’esercito e 2.500 civili, di cui 89 bambini, e 12.500 persone sono state ferite solo per la Serbia; ma furono scaricate migliaia di tonnellate di bombe su tutti i Balcani. E’ stato usato uranio impoverito che nella popolazione ha prodotto morti e nascite con malformazioni e autismo negli anni successivi. Negli ultimi vent’anni sono morti 366 militari italiani reduci dai Balcani 7500 si sono ammalati per le conseguenze dell’esposizione all’uranio impoverito (dati 11 giugno 2019).


Documentazione

* 1) https://sinistrainrete.info/estero/14800-fulvio-grimaldi-milosevic-l-ultima-intervista-prima-dell-arresto.html

2) La moglie di Milosevic a Famiglia Cristiana https://www.stpauls.it/fc99/4199fc/4199fc24.htm

3) Intervista a  Walter Veltroni su l’Unità 29 marzo ’99:

“Stavano avvenendo cose di fronte alle quali non ci si può più limitare alla compassione e alla condanna: le decapitazioni, le fosse comuni, lo sterminio. Vedi, a quelli che l’altro giorno sono venuti davanti a Montecitorio con gli ulivi insanguinati, io potrei dire: dov’eravate, amici, dov’erano i vostri fiori quando i serbi compivano  atrocità e uccidevano 300 mila esseri umani in Bosnia?” Una vergognosa marchetta per entrare nelle grazie della Trilaterale e del Bilderberg impegnati nella attuazione del secolo americano per un mondo unipolare. Tra l’altro anche il Tribunale dell’Aia che processò Milosevic accertò 187 vittime bosniache; sono tante, ma ben lontane dalla balla Veltroniana dei 300.000 e molto inferiori ai serbi uccisi da allora ad oggi in Kosovo.

4) Kosovo. http://mondos-porco.blogspot.com/2014/12/i-crimini-nato-in-kosovo.html

5) Da pag. 167 https://books.google.be/books?id=c93yzuZsfGIC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false

6) Il Primo ministro serbo, Mirko Cvetkovic, nel 10° anniversario non si è appellato alla diplomazia nello stendere il suo discorso commemorativo. «L’attacco contro il nostro Paese era illegale, contrario al diritto internazionale e perpetrato senza una decisione dell’Onu. I bombardamenti non hanno risolto i problemi nel Kosovo e non hanno aiutato a instaurare la pace e il rispetto delle leggi. Hanno causato pulizie etniche, violazioni dei diritti umani e delle norme internazionali».

7) https://www.geopolitica.ru/it/article/la-mano-occulta-dei-rothschild-dietro-la-guerra-della-ex-jugoslavia

8 ) Musica:  Gang, Gli angeli di Novi Sad https://www.youtube.com/watch?v=9WfyUTe7YC4

9) http://www.lavocedellevoci.it/2019/07/15/mihajlovic-il-bombardamento/

Testimonianza di Siniša Mihajlovic sull’aggressione alla Jugoslavia.